Riccardo Trillini: “Non sono in esilio!”

Riccardo Trillini © Fabrizio Munisso
Riccardo Trillini © Fabrizio Munisso

Riccardo Trillini, allenatore, 50 anni, in panchina da oltre venticinque, prime esperienze a Cingoli suo luogo di origine, titoli giovanili junior femminili e promozioni in serie fino alla A1, poi Salerno e Siracusa, sempre in rosa, prime esperienze europee con il Club aretuseo a quei tempi in forte crescita, guida la nazionale giovanile in due successive edizioni della Coppa Latina. Il ritorno a Cingoli nel 1998 ed il passaggio al settore maschile, riparte dalla serie C, poi otto anni ad Ancona, dalla B alla A1, nel 2000 entra a far parte dello staff delle squadre nazionali giovanili, vi rimane fino al 2004, poi i tre anni più belli, promozione in A1. Un biennio a Teramo (2007/09) con promozione in A1, l’ennesima e buon campionato l’anno successivo che gli vale la chiamata di Conversano, tre anni, il primo vince tutto: Campionato, Coppa Italia, Supercoppa, Handball Trophy, poi ancora scudetto ed infine secondo posto, un rapido passaggio a Brixen (2012/13), il resto è attualità, si chiama Lussemburgo. Nel Granducato vince al primo colpo con l’HB Kaërjeng.

HandballTime: Riccardo, prima di parlare dell’attualità e chiaramente del futuro, un tuffo nel passato. Grande curriculum, ma tanta gavetta … abbiamo selezionato tre stagioni importanti: Ancona (2006/07), Conversano (2009/10) e quella appena trascorsa, la prima all’estero, un flash per ognuno di questi tre momenti fondamentali della tua carriera.

Riccardo Trillini: Mi piacerebbe ricordare l’inizio..con le ragazze della Polisportiva Cingoli, vera gavetta ma anche grandi vittorie di due scudetti ed una fantastica ascesa dalla serie C alla serie A. Con Ancona, poi, la prima esperienza con i maschi. Dalla serie C alla serie A…tanti giocatori locali con grande voglia di arrivare alla grande serie A. Abbiamo gettato le basi anche per un grande sviluppo dei giovani ed una cultura pallamanistica di ottimo livello in Ancona.

HandballTime: Come, c’era anche la serie C?

Riccardo Trillini: Si c’era anche la serie C! Conversano l’affermazione…grande ambiente, palati fini, grande squadra e giocatori di grande talento ed esperienza. Li mi sono confrontato con tanti modi di pensare della pallamano. Riconoscimento per me ma anche consapevolezza che anche gli allenatori italiani possono allenare campioni. L’esperienza in Lussemburgo sta continuando, successo (primo ed unico scudetto della società) dopo 40 anni di storia della pallamano. All’estero la grande esperienza è data dal confronto con mentalità differente, modo di vivere lo sport in maniera “soft” ma soprattutto grande difficoltà con l’apprendimento e l’utilizzo della lingua francese ed inglese che rende non facile comunicare e motivare tutto l’ambiente.

HandballTime: 40 più o meno come qui da noi, a che punto sono da quelle parti?

Riccardo Trillini: La grande differenza è nella mentalità dei giovani. In Italia c’è più passione. Qui sono “quadrati”, studiano come matti. Si impegnano per senso di disciplina ma sono poco passionali. A livello di prima squadra il campionato è fantastico. 8 squadre di cui 5 possono vincere. Grande equilibrio, tanti stranieri e tanta organizzazione della Federazione. Grande seguito della stampa. (come il calcio).

HandballTime: Hai detto due cose che in Italia fanno a pugni, giovani e stranieri, loro come fanno?

Riccardo Trillini: I giovani non vedono la pallamano come qualcosa che gli può dare un futuro in quanto sanno che TUTTI alla fine del ciclo di studi hanno un lavoro super remunerativo. Gli stranieri sono tutti ottimi, non a fine carriera. Stanno alzando il livello e creando competitività. Le società che vogliono vincere (essendo 5) possono essere competitive scegliendo ottimi stranieri. Qui, nella mia squadra, ho tre giocatori della Nazionale che in due anni sono migliorati tanto in quanto hanno tutti degli stranieri come competitor e si impegnano molto di più.

HandballTime: Ci stai dicendo che per dieci anni abbiamo lottato contro un alibi?

Riccardo Trillini: Nel senso che abbiamo visto gli stranieri come colpevoli del nostro “non sviluppo”?

HandballTime: Si certo, non è così?

Riccardo Trillini: Gli stranieri occupano il posto dei giovani buoni? Può essere ma non sarà mai per i giovani di interesse Nazionale. Questi si presumono siano buoni e per farli crescere devono lavorare, progredire e se c’è uno straniero devono rubargli il mestiere….ed il posto.

HandballTime: Quindi, in sintesi, campionato competitivo porta Nazionale competitiva?

Riccardo Trillini: Per forza. Scontato. Secondo voi, giocatori forti tipo Maione, Radovcic etc quanto possono impegnarsi (anche se seri) nelle settimane (e sono tante) che giocano contro avversari notevolmente inferiori? Che intensità possono dare negli allenamenti? Quanta fatica fanno per fare un gol o per evitarlo? Qui se Volpi e Marrochi non si impegnano non giocano nella propria squadra. Quasi ogni settimana prepariamo una partita che si può vincere o perdere. Se poi la mettiamo che dobbiamo risparmiare i soldi per le trasferte…il discorso non tiene…in Lussemburgo praticamente non ci sono trasferte.

HandballTime: Undici titoli e sette promozioni eppure sei all’estero, per quanto detto nessun Club italiano potrebbe essere in grado di proporti un progetto ambizioso?

Riccardo Trillini: Sono all’estero quasi per caso, ma quando mi è capitata l’occasione l’ho colta al volo. Ho la fortuna di poter muovermi e volevo confrontarmi con altre mentalità, con altre difficoltà. Sono molto ambizioso e la molla che mi motiva fortemente è di dimostrare che noi Italiani non siamo come ci dipingono in Europa. Ho avuto la fortuna di allenare tra i migliori club Italiani, quindi è stata solo una scelta di esperienza personale.

HandballTime: Riccardo e la Nazionale un amore contrastato…

Riccardo Trillini: Penso di si. L’amore rimane. Per sempre. Come per tanti altri allenatori che vorrebbero allenare la Nazionale, c’è un contrasto non di natura meritoria. Parlo anche di Nazionali giovanili, tecnici d’area, tecnici formatori. Mi spiego, non è facile fare graduatorie e dire se questo allenatore è migliore di un altro. Non è facile ma sicuramente questo criterio in Italia non è il primo. Questo accade anche per arbitri, per i commissari, per le società. Purtroppo si sottovaluta l’effetto che si scatena. Faccio un esempio: Se un arbitro vede premiare con la promozione in una categoria un altro che chiaramente non merita, se vede assegnata una finale sempre ad un’altra coppia che non sempre merita, quanto si può impegnare per crescere? Quanto può investire del proprio tempo per far crescere il livello arbitrale? Il rifiuto della meritocrazia come primo criterio porta tutto il livello verso il basso.

HandballTime: Nella tua carriera un’attenzione quasi maniacale per la formazione e l’aggiornamento, come è cambiata la pallamano in questi ultimi venti anni?

Riccardo Trillini: Venti anni sono tanti ed è evidente che venti anni fa si passeggiava ed ora si corre tanto. Negli ultimi anni si è visto che ad alto livello non c’è spazio per giocatori e giocatrici tecnici senza fisico. Sotto l’aspetto della struttura fisica. Sotto l’aspetto della forza. la velocità aumenta di conseguenza. Ma ora se non hai spalle “quadrate” non puoi giocare. Puoi essere basso ma non esiste più un giocatore gracile. La velocità del gioco ha portato all’aumento del numero dei giocatori nelle rose. Vent’anni fa si potevano ricordare le formazione dei primi sette giocatori ora è impossibile. A livello difensivo si è progrediti verso la tecnica. Non si vedono più tante “botte”. A tutti i livelli. Gioco sempre necessariamente duro ma senza vigliaccate. A livello tattico trovo interessante l’utilizzo quasi maniacale della 6:0 ma che si esprime in mille varianti tanto da far chiamare 6:0 difese che non lo sono. Ma la 6:0 è la difesa più difficile da fare, capire ed allenare. Trovo sia affascinante il suo utilizzo nelle varie forme e varianti. Altro aspetto interessante è la tendenza al gioco semplice e ripetitivo in attacco. Gli schemi sono quasi scomparsi al posto di sistemi di gioco molto semplici. Proprio dalla semplicità traggono la massima efficacia.

HandballTime: Molti dicono che la pallamano italiana sia di fronte ad un bivio, l’ennesimo. Secondo te, tre cose semplici ed immediate per cambiare passo?

Riccardo Trillini: Si è sempre davanti a dei bivi per poter progredire. Scegliere e trovare soluzioni non è così facile. Per gioco, proviamo a scegliere solo tre cose che devono trovare un impatto più o meno immediato… sapendo che non ci sono tanti soldi.

-FORMAZIONE dei tecnici giovanili continua. I tecnici delle giovanili hanno passione da vendere. Pagherebbero oro pur di essere aggiornati da tecnici validi che li possa fare crescere. Aggiornamento diretto da 4-5 tecnici (quelli delle aree?) che girano, via internet e non. Tavole rotonde, discussione sui metodi dell’insegnamento, diffusione di programmi, più o meno standardizzati, settimanali per le giovanili.

-PROGETTO per portare 7-8 giovani talenti a giocare e formarsi all’estero. Per invertire la rotta e scalare qualche posizione per la nazionale maschile a medio termine cosa servirebbe? Certo fare come Danimarca o Germania o altre nazioni ma non abbiamo mezzi e tempi. Nell’immediato, per iniziare, servirebbero due o tre terzini di statura, un paio di difensori, un portiere da caratteristiche fisiche importanti. Personalmente ne ho visti di più a Misano al trofeo delle aree. Portiamoli all’estero subito. Come ha fatto Colasuonno. Andiamo a casa dei loro genitori, portiamogli concretamente un percorso di formazione sportiva e scolastica e proponiamogli di emigrare dove non troveranno tecnici migliori ma un livello di gioco, di allenamento e competitivo notevolmente più elevati. Probabilmente diventeranno professionisti.

-MACRO AREE. Ci sono già aree dove la pallamano è diffusa quasi come all’estero ed i numeri non sono così negativi. Faccio un esempio: ALTO ADIGE. Concentriamo li tutto il meglio che possiamo. Migliori tecnici nelle società di vertice. Stage permanenti con i migliori giocatori. Campionati veri e di qualità con partite di andata e ritorno con 16 squadre e non triple andata e ritorno a 3 squadre. Premiare le società che vincono e che investono seriamente nel reclutamento. L’espansione (se speriamo ancora di ottenere) della pallamano deve partire da dove la pallamano c’è già e poi migrare fino a dove purtroppo non c’è o sta morendo. Non è questione di “razzismo” e di emarginare alcune regioni ma è questione di ottimizzare le poche risorse che ci sono.