Nella cartellina medica che Sergio Lanteri stringeva davanti all’ospedale mentre arrivava la fine c’erano ancora tutti gli appunti legati al suo Città Giardino: il numeri dei tesserati, i campionati cui iscriversi, gli appuntamenti dei giorni seguenti. Da settimane ormai le vicissitudini di quella sua creatura gli toglievano il sonno. La società aveva perso la sua palestra, qualche giocatore era pronto a smettere e due anni di Covid avevano azzerato l’attività nelle scuole interrompendo l’innesto delle nuove leve. “È il momento più duro” ammetteva spalancando le braccia, ma non si dava per vinto: aveva la promessa del Comune che avrebbe potuto giocare le partite in casa al Ruffini, i plessi scolastici del quartiere Santa Rita gli avrebbero concesso qualche ora delle loro palestre per gli allenamenti. Lui ci credeva ancora, non aveva nessuna intenzione di veder perire così quella creatura che lui stesso vide nascere 34 anni fa.
Era il 25 novembre del 1987 quando Sergio riuscì a riunire alcuni amici nei locali della parrocchia Santissimo Nome di Maria per proporre la fondazione di una società sportiva in cui coniugare lo spirito oratoriale e gli obiettivi agonistici. Stava nascendo una famiglia, in cui però si faceva sul serio. Con lui c’erano don Serafino Bunino, Carlo Amateis – che fu il primo presidente – Stefano Passaggio e Giorgio Cinato. A tutti sembrò quasi naturale dare al nuovo nato il nome di quel rione storico di Torino in cui sorgeva la parrocchia che li ospitava. Due giorni dopo, il Città Giardino ottenne l’affiliazione alla Federazione Handball. L’epopea si sviluppò attorno a due luoghi che distavano pochi metri l’uno dall’altro: nella scuola media Corrado Alvaro si svolgeva l’opera di proselitismo per avvicinare i giovani a questa disciplina, mentre la palestra del Palatucci ospitava partite e allenamenti.
Sergio è il cuore e l’anima di una società che nell’arco degli anni scala le gerarchie della pallamano nazionale: nel 1991 la promozione in serie D, quattro anni dopo approda in C, nel 2001 in B, nel 2005 in serie A2. L’eco delle sue urla rimbomba in quella palestra tanto piccola, i suoi ragazzi ne sono intimiditi ma poi imparano a conviverci: la scorza è dura, il cuore decisamente tenero. I successi della prima squadra viaggiano in parallelo con quelli del settore giovanile: 21 i titoli regionali conquistati cui si aggiungono quattro finali nazionali. Agli anni Novanta risalgono anche le convocazioni in Nazionale di molti atleti del “Città”: Mauro Gaia, Sergio Belluomo, Alessandro Mangione, Luca Venturello, Manuel Verducci, Nicola Balice. E pure Fabio Riefolo, forse il più talentuoso, scomparso improvvisamente nel 2009 a soli 29 anni e a cui la società dedicò un Memorial.
Dopo la carriera sportiva alcuni dei giocatori più rappresentativi hanno seguito Lanteri in quella dirigenziale, diventando essi stessi fondamenta di quella casa che da piccoli li aveva accolti: è il caso di Davide Vietti, Fabio Serralunga, lo stesso Gaia o Diego Tarro Lucia ora allenatore della prima squadra.
Ma nei suoi 83 anni di vita la pallamano è stata solo una parte dell’attività svolta da Sergio Lanteri, uno sportivo a 360 gradi oltreché uomo dotato di carisma fuori dal comune. Negli anni Sessanta e Settanta fu podista e calciatore, poi indossò la giacchetta nera dell’arbitro. Presso l’Aia di Torino fu formatore e osservatore delle giovani leve: fu tra coloro che plasmarono almeno due generazioni di fischietti tra i quali spiccano i nomi di Roberto Rosetti e Alfredo Trentalange. Fu socio storico e attivo, fin da giovane, della Reale Società di Ginnastica di Torino, la più antica società sportiva d’Italia, culla di molti sport tra cui il calcio. Qui, durante una serata danzante proprio nel salone delle feste che porta ora il nome di suo suocero Giovanni Degano, conobbe anche sua moglie Angela, la donna che gli è stata accanto fino alla fine assieme ai figli Andrea e Cristina e a tutti i suoi ragazzi. Fu volontario alle Olimpiadi del 2006, segretario del dopolavoro Michelin Sport Club e arrivò a guidare la Federazione pallamano piemontese negli anni di massima espansione. Nel 2011 il Coni gli assegna la Stella di bronzo al Merito sportivo, sette anni dopo è Giovanni Malagò a consegnargli il Premio alla carriera.
Ora la scommessa più importante per il Città Giardino, per i suoi ragazzi, è di non disperdere questa preziosa eredità. Di proseguire il cammino. La strada è impervia ma vale la pena di essere percorsa.