
Cosa hanno in comune Laura Avram ed Oxana Pavlyk, Elwira Klimek, Marcela Popescu, Elena Barani, Zuki Pastor, Katia Soglietti, Mimma Satta, Lorena Bassi ed Adele De Santis?
Molte cose, sono tutte ultra trentacinquenni, i due portieri addirittura quarantenni, titolari inamovibili delle rispettive squadre di A femminile (tranne la De Santis), italiane, in parte native, in parte da tempo naturalizzate, ben lontane dal tempo della meritata pensione. La pallamano femminile italiana è riuscita dove il legislatore e molti ministri hanno fallito o sono riusciti solo parzialmente ad intervenire, e in un tempo in cui il Ministro del Lavoro è un pallamanista doc come Giuliano Poletti, questa è davvero una bella storia.
Belle storie individuali, non c’è dubbio, di atlete serie e talentuose che hanno legato il loro nome ad importanti pagine della recente storia della pallamano femminile e che rappresentano simboli positivi nelle realtà in cui operano quotidianamente. Molte di loro si dedicano anche alle nuove leve e speriamo che riescano a trasferire almeno una parte del bagaglio tecnico ed umano che possiedono.
Ma, come spesso accade, dietro ogni bella storia c’è il risvolto della medaglia, problematico, la pallamano italiana fa fatica a rinnovarsi. Non è un problema di oggi, per carità, esisteva anche dieci, cinque, tre anni fa, ma allora un motivo c’era, o almeno si pensava ci fosse, o come sarebbe meglio dire l’alibi era bello e servito.
A quel tempo c’erano le straniere, qualcuna davvero buona, qualche altra meno, alcune anche scarse, ma tutte, si diceva, toglievano spazio alle giovani italiane che per questo motivo non crescevano e finivano poi per abbandonare prematuramente le palestre.
Ora l’alibi non c’è più, le straniere sono praticamente scomparse dal campionato italiano, tranne alcune che nel frattempo sono diventate italiane (quelle che abbiamo citato all’inizio), il livello ne ha risentito, ma era una transizione normale, il problema è che le giovani continuano a non esserci o meglio ci sono ma hanno difficoltà a crescere ed a farsi spazio, in altre parole a caratterizzare il campionato con le proprie prestazioni invertendo la tendenza oramai consolidata al ribasso.
Il campionato femminile stenta a ritrovare una dimensione accettabile, dopo anni di tornei a sei squadre, da due anni si gioca in otto, o meglio si gioca in otto fino a gennaio, poi la final eight di Coppa Italia e poi mentre 4 squadre continuano nella Poule play off, le altre 4 spareggiano per non retrocedere e per loro a marzo è praticamente tutto finito. Cinque mesi di stop prima di riprendere la nuova stagione. E’ normale?
Ci chiediamo. Non è normale, come non è normale che per ridare linfa alla base si debba di fatto abolire la A2 e creare una Seconda Divisione che in pratica è una serie B e che le società invece di aumentare rispetto agli organici pre-riforma addirittura diminuiscono.
Allora c’è dell’altro, cosa? Un malessere diffuso che va ben oltre la contingenza di una crisi economica che di fatto non giustifica il ribasso continuo e l’emorragia costante di partecipazione pur in presenza di provvedimenti che riducono l’impegno finanziario dei club.
In economia un fenomeno del genere si chiama “crisi di fiducia” ed è caratteristico dei sistemi dove Nonostante misure espansive e di agevolazione, gli operatori non investono anzi disinvestono perché convinti che la congiuntura andrà sempre peggio.
Cosa fare per invertire la tendenza? Ridare fiducia al movimento coinvolgendolo in un progetto complessivo che preveda la centralità dei club, in luogo della costante marginalizzazione degli ultimi anni, non saranno molti, ma siamo sicuri che qualcuno risponderà “presente”, e da qui ripartire.
Lo stesso progetto Futura, si badi bene, non è stato inequivocabilmente bocciato, ma è stato giudicato molto criticamente. Il nostro sondaggio, precisando che i sondaggi di questo tipo non hanno valore statistico, ha comunque evidenziato che il sentire della base è orientato favorevolmente rispetto agli originari propositi e molto negativamente per i risultati ottenuti, laddove probabilmente si attendeva da questo progetto un traino decisivo per tutto il movimento e probabilmente un diverso coinvolgimento degli operatori di base.
Coinvolgere per crescere, forse è proprio questa la formula per invertire la tendenza al rinvio di un futuro che non può più attendere.