Una riforma che guarda a tutto il Movimento

Le due Consulte, femminile e maschile, hanno restituito un quadro abbastanza preciso del panorama societario nazionale: afflitto da numeri esigui, ma almeno rassicurato da un campionato che negli ultimi tempi ha preso un aspetto accettabile, il settore femminile; ingabbiato in una formula che si è rivelata improponibile e che deve assolutamente essere modificata, quello maschile.

Tralascio le considerazioni sulla partecipazione delle società, insufficiente in entrambi gli incontri, limitandomi a dire che la partecipazione è di solito direttamente proporzionale alla fiducia ed all’entusiasmo, quindi chi non ha ritenuto di impiegare una domenica nei saloni di viale Tiziano, non andrebbe demonizzato quanto incoraggiato, informato, coinvolto, in altre parole incluso.

Non impiego molto spazio nemmeno sulle considerazioni successive all’incontro femminile, perché le società sono generalmente soddisfatte dell’attuale campionato di serie A e della prospettiva di vedere 12 squadre ai nastri di partenza della prossima stagione. Mi preme rimarcare solo la necessità di procedere ad una razionalizzazione dei gironi di Seconda Divisione, al fine di giocare di più e di presentare al pubblico campionati che siano tali e non gironcini di 2, 4, 5 o 6 squadre con doppie andate, ritorni e via di seguito. Purtroppo la pallamano femminile italiana soffre da anni seri problemi di numeri di base che si sono uniti ad una programmazione che probabilmente non ha intercettato a pieno le potenzialità di un movimento, le cui prospettive oggi potevano essere certamente diverse. Ma è un discorso lungo che è già andato più volte in copertina su questa testata e quindi lo saltiamo a piè pari.

Il punto sul quale, invece, vorrei dilungarmi, è certamente la riforma dei campionati maschili, anche al fine di pulire il campo da fraintendimenti e di contribuire a spegnere sul nascere una tendenza, pericolosa a mio avviso, che ho notato nelle ore successive: la contrapposizione di interessi e posizioni tra il Nord ed il Sud. Andiamo con ordine.

L’opinione generale è che l’attuale formula non funziona né da un punto di vista tecnico (crescita del livello di gioco), né sotto il profilo dell’immagine e della comunicazione, che poi sono i due aspetti fondamentali per cui si fanno i campionati. Altrettanto chiaro appare il fatto che la riforma non può essere un evento istantaneo, ma che c’è bisogno di un percorso e quindi almeno di un anno di transizione dal vecchio al nuovo sistema, ci sono in gioco programmi societari e diritti acquisiti, pertanto non è assolutamente possibile cambiare in corsa, come purtroppo è avvenuto in passato.

Il punto su cui mi sembra esserci un po’ di confusione è l’obiettivo di riforma, cioè la nuova formula. In realtà anche su questo argomento le distanze sono più piccole di quanto si voglia far apparire, perché il girone unico nazionale era e rimane l’obiettivo di tutto il Movimento, dai Club più titolati e “ricchi” a quelli più “piccoli”, dal Nord al Sud. L’unico punto veramente importante allora rimane il percorso, in breve come si passa da una situazione all’altra ed in quanto tempo. Atteso che pare sia indubitabile che si debba giocare di più (diciamo circa 30 partite l’anno) e che la stagione debba durare da settembre agli inizi di giugno, in continuità con lo spazio da dedicare alle manifestazioni giovanili e in armonia rispetto agli impegni delle Squadre Nazionali, si deve dire che è necessario giocare anche partite più equilibrate e con livelli di intensità maggiori.

Per questo motivo, un consistente gruppo di società ha ipotizzato di strutturare un percorso di riforma, apparentemente più complesso e lungo, ma certamente più idoneo, nell’aspettativa dei proponenti, a rispondere efficacemente alle esigenze di cui sopra. Un campionato in due fasi, basato su un format che possiamo chiamare per semplicità 16+40, attraverso il quale ottenere, da subito il risultato di giocare di più e soprattutto più partite equilibrate, per poi passare, senza altri sconvolgimenti ed in tempi brevi, al girone unico nazionale, non appena si fosse formata una community di società, e di squadre, sufficientemente affidabile sotto il profilo organizzativo e di livello  tecnico diciamo “compatibile”, evitando che dopo qualche tempo si ripresentasse il problema di un campionato diseguale e quindi, ancora una volta, non funzionale alle aspettative di crescita armonica e strutturale del Movimento.

La proposta in questione, presentata negli aspetti di base, da Daniele Sonego, ma dettagliata in un documento tecnico che le società “favorevoli” hanno avuto modo di leggere e valutare con largo anticipo, comprende anche la definizione del sistema di passaggio dall’attuale configurazione dei campionati al nuovo format (16+40), attraverso un meccanismo che tende a rispettare i valori tecnici in campo, in luogo di un sistema lineare che potrebbe escludere realtà potenzialmente “forti” e di prospettiva, includendone altre meno preparate al salto di qualità.

Un’ultima considerazione sulla contrapposizione Nord-Sud che purtroppo si legge in alcuni interventi. La ritengo strumentale ancorché sbagliatissima, perché la proposta in questione tiene conto delle differenze geografiche non nel senso di penalizzare un’area rispetto alle altre, ma per cercare di favorire la crescita delle realtà societarie che purtroppo hanno sede in aree deboli, il tutto non limitandosi a dire “se hai i soldi la fai la serie A, se no, ti attacchi…” , ma prevedendo dei sistemi compensativi parametrati alla lunghezza/complessità delle trasferte (che aumenterebbero) e dando il tempo (2/3 anni) per realizzare un programma di sviluppo sostenibile nel medio-lungo periodo.

Qualcuno potrebbe obiettare: è già stato fatto in passato ed è andata male, perfetto rispondo, si dovrà fare meglio, non ricadendo nell’errore che spesso abbiamo dovuto soffrire, ovvero buttare via il bimbo insieme all’acqua sporca. In caso contrario, si potrebbe assistere ad un girone unico che parte con un numero di società del Centro-Sud più o meno pari a quelle del Nord, ma che dopo poco tempo potrebbe non reggere, sia dal punto di vista economico che tecnico, con il conseguente arretramento o addirittura scomparsa di alcune società (film già visto), il risultato sì che allora sarebbe un unico girone, ma del Nord, il cui baricentro si posizionerebbe tra il Piave e l’Adige. E davvero questo che vogliamo?

Se poi si propenderà per un passaggio diretto al girone unico, poco male essendo comunque l’obiettivo tendenziale di tutti, purché si sappia che l’impatto, nel breve, potrebbe essere più impegnativo e gravoso anche in termini economici, soprattutto se consideriamo che un campionato di tal genere partirebbe senza una chiara ed organizzata collaborazione tra i due player fondamentali per la gestione di un campionato nazionale di primo livello: la Federazione e la Lega. Il tempo per mettere al proprio posto, ordinatamente, tutti i pezzi di questo puzzle, nemmeno tanto complesso, ci sarebbero, auguriamoci che, per il bene della Pallamano Italiana, l’impegno ed anche le “polemiche” di questi giorni, non rimangano lettera morta.